Guadagnare Cristo": anche questa espressione, come quella di "imparare Cristo" presenta qualche stranezza. In genere si dice di guadagnare qualcosa, o anche guadagnare un traguardo, ma non una persona. Se prestiamo attenzione al verbo greco katalambàno possiamo forse riconoscere in esso una nota di aggressività, quasi di prepotenza. Tant'è che alcuni traducono: "Continuo la mia corsa per tentare di afferrare il premio, perché anch'io sono stato afferrato da Cristo Gesù" (Filippesi, 3, 12).
Ad essere sincero devo dire che non mi dispiace affatto questa interpretazione del verbo scelto da Paolo, per il semplice motivo che vi riconosco qualcosa della sua psicologia: la violenza che egli ha sfogato contro i cristiani e contro Cristo prima della sua conversione ora Paolo la mette a servizio della verità. Non è forse vero che anche Gesù ebbe a dire: "Dai giorni di Giovanni il Battista il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono" (Matteo, 11, 12)?
È ovvio che qui Paolo allude al grande evento della sua conversione sulla via di Damasco, allorquando egli ha subito violenza da parte di Cristo e ha dovuto dichiararsi vinto dalla potenza di Dio. Sappiamo che da quell'evento dipende tutta la vita, tutta la teologia, tutta la spiritualità di Paolo. Da esso pertanto dipende anche la sua pedagogia, sia nei contenuti sia nel metodo.
Per valutare esattamente il punto di arrivo di questo sorprendente cammino di conversione Paolo ci invita anzitutto a considerare quello che egli chiama "il guadagno di ieri". Ascoltiamo la sua testimonianza: "Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l'ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura".
Dunque Paolo riconosce di essere caduto in un tremendo errore; si rende conto di aver sposato una causa sbagliata. Ora egli, illuminato da quella stessa luce che in un primo momento lo aveva accecato, confessa candidamente che quello era un falso guadagno, anzi un guadagno dannoso, alludendo ovviamente ad ogni privilegio di nascita e di educazione, ad ogni sforzo religioso e morale. Ogni volta che Paolo si scaglia contro quelli che stigmatizza come "i nemici della croce di Cristo" (Filippesi, 3, 18), lo fa sempre e solo per affermare questo tratto – solo apparentemente negativo – del suo metodo pedagogico, senza del quale ogni sforzo umano genererebbe illusione e sconforto.
Non si può non vedere in questa "rilettura" o "revisione di vita" il frutto della grazia sanante, quella che si sprigiona dall'evento della passione e morte di Gesù; ma possiamo anche riconoscere l'azione della grazia illuminante che può venire solo dall'evento della risurrezione di Cristo, dalla persona di Cristo risorto. Interpellati come siamo oggi dagli immani problemi annessi al compito educativo non guasta affatto richiamare quello che Paolo ha compreso a partire dalla sua esperienza personale: l'essere stato violentemente scaraventato da cavallo a terra è solo un pallido segno della vittoria pasquale che Gesù ha riportato su di lui.
Il giudizio di Paolo sul suo passato è estremamente lucido: Cristo Signore lo ha portato a formulare una nuova scala di valori, sovvertendo quella che precedentemente aveva caratterizzato la sua vita: ciò che sembrava guadagno ora è diventato perdita, quello che sembrava ricchezza ora è diventato spazzatura, quello che sembrava giusto ora è diventato ingiusto. Ovviamente questo sovvertimento di valori ha influito decisamente anche sul metodo pedagogico di Paolo, che si fa coraggio a chiedere agli altri ciò che Cristo ha chiesto a lui: una conoscenza di Gesù non generica ma esperienziale, a seguito di un incontro non fortuito ma provvidenziale. Dentro questo orizzonte interpretativo possiamo far convergere e comprendere tutte le indicazioni pratiche che costellano la pedagogia paolina.
Ma quello che più conta è definire "il guadagno di oggi", quello che ora a Paolo preme salvaguardare ad ogni costo. Lo afferma con estrema chiarezza: "al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo". Rileviamo: "guadagnare Cristo" ed "essere trovato il lui": un verbo attivo e l'altro passivo, certamente per indicare sia l'azione dell'amore preveniente e incondizionato di Dio, sia la corrispondenza dell'uomo. "Conoscere Cristo", "guadagnare Cristo", "essere trovato in Cristo" vuol dire essere introdotto negli eventi passati la cui presenza rimane attiva anche oggi. Solo a partire da questa certezza si può dare vita ad un progetto educativo serio e valido, capace cioè di produrre ciò per cui è ipotizzato e realizzato.
Il richiamo al passato giudaico dell'apostolo offre l'occasione per una definizione delle due giustizie: una che deriva dalla legge e genera nell'uomo un senso di autosufficienza e di superbia dinanzi a Dio; e l'altra che è dono di Dio "per la fede di Cristo". Come interpretare questo genitivo "di Cristo"? È importante saperlo non solo per un motivo di retta interpretazione del pensiero di Paolo e quindi per una ragione teologica, ma anche per definire meglio il suo metodo pedagogico.
Sono almeno tre i significati possibili: si può intendere la fede in Cristo Gesù (genitivo oggettivo): in questo caso Gesù è l'oggetto della fede. Ma può voler dire anche che la fede ha Gesù Cristo come sua origine (genitivo di origine): Gesù allora è inteso come la sorgente della nostra fede; egli ci dà il credere. Infine si può pensare a un genitivo soggettivo: allora la fede è un atteggiamento di Gesù verso il Padre suo, una fede totale, nel senso che Gesù si affida a lui, gli obbedisce filialmente: con questa fede Gesù ci rende giusti dinanzi al Padre suo e nostro. Per questa sua fede Gesù può essere considerato come il modello della nostra fede. Non è affatto difficile vedere l'incidenza di questi tre significati sul metodo pedagogico di Paolo e la loro ricaduta sul cammino di conversione e di piena adesione di ogni credente a Cristo, oggetto, causa e modello della nostra fede.
All'esperienza di Paolo possiamo certamente accostare anche la nostra. Tutti siamo sollecitati dalla parola di Dio ad entrare in questo dinamismo della fede che salva: essa è anzitutto dono che scaturisce dal cuore di Dio e dal costato di Cristo. Ma la fede è anche riconoscimento dell'opera salvifica operata da Dio mediante la totale e incondizionata obbedienza di Cristo alla volontà del Padre. Infine la fede è atto umano libero e consapevole con il quale ogni uomo si lascia attrarre dall'amore di Dio che si è manifestato a noi pienamente in Cristo Gesù. Nessun educatore potrà mai prescindere da questi dati incontrovertibili, pena la totale inefficacia del suo metodo pedagogico.
Infine Paolo indica a chiare lettere "il guadagno di domani": quale sarà questo guadagno? Ascoltiamo ancora le parole di Paolo: "Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch'io sono stato conquistato da Gesù Cristo". Paolo è cosciente di essere stato oggetto della grazia divina, ma sa anche che questo non deve diventare un pretesto per evitare ogni sforzo. E se lui, Paolo, non ha ancora raggiunto la mèta, neppure i cristiani di Filippi devono illudersi (e neppure noi!); perciò Paolo invita loro e noi a camminare in avanti come lui. La maturità cristiana – è sempre un pensiero di Paolo (3, 15-16) – non consiste affatto nella definitiva acquisizione di una presunta perfezione, ma nell'essere fedeli alla parola data, nel perseverare nella corsa intrapresa.
Il passaggio che qui Paolo opera va dal "già" al "non-ancora": Paolo è già proprietà di Cristo perché Cristo si è impadronito di lui sulla via di Damasco, ma non può ancora dire di aver realizzato in pienezza la vocazione alla quale è stato chiamato. Paolo sta già correndo verso la mèta, ma non può ancora dire di essere arrivato al traguardo. Paolo vive già la vita nuova in Cristo, ma non può ancora dire di viverla nella pienezza di luce che lo renderà perfettamente somigliante al Figlio di Dio (vedi anche Colossesi, 3, 3-4 e 1 Giovanni, 3, 1-2). Questa tensione vitale è nota caratteristica di ogni cammino di fede: con essa devono misurarsi tutti coloro che di Cristo vogliono essere non solo discepoli ma anche testimoni.
Con maggior precisione Paolo si augura di poter approfondire la sua personale "conoscenza di Gesù e la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti". Ricordiamo che il termine "forma" (morphè) non va preso come una semplice metafora; esso sta ad indicare qualcosa di più di una apparenza: è la figura visibile che manifesta una realtà invisibile. Nel nostro caso Paolo vuol dire che alla morte di Cristo il credente partecipa realmente (altre traduzioni sono "divenuto della stessa forma della morte di lui" oppure "per diventare simile a lui nella sua morte"). Si direbbe che un cristiano, per poter dire di essere tale fino in fondo, per poter dire di essersi formato alla scuola di Gesù, deve riprodurre in se stesso le fattezze di Cristo crocifisso, addirittura deve assomigliare a Gesù morto.
Ricordiamo che quando Paolo si presenta ai cristiani di Corinto avanza un'unica pretesa: "Avevo infatti deciso di non insegnarvi altro che Cristo e Cristo crocifisso". E per non predicare a vuoto aggiunge: "Mi presentai a voi debole, pieno di timore e di preoccupazione" (1 Corinzi, 2, 2-3). Ancora una volta dobbiamo rilevare che Paolo, da ottimo pedagogo quale è, propone agli altri ciò che prima ha sperimentato su se stesso. Ogni educatore sa di non potersi sottrarre a questa regola che lo vincola fino al dono totale di se stesso.
Una sintesi stupenda di tutto questo itinerario Paolo la offre al termine di questa sua testimonianza: "Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere in Cristo Gesù" (3, 13-14). Passato, presente e futuro per Paolo costituiscono solo tre tappe di un unico itinerario che, nel piano di Dio, ha una sua profonda unità.
(©L'Osservatore Romano – 27 luglio 2008)