Leggendo qualche anno fa il romanzo di Bernard Malamud “ L’uomo di Kiev”, sono rimasto impressionato da questa frase dell’ebreo protagonista, stupenda testimonianza letteraria dell’anima ebraica.
Siamo nella Russia zarista di fine Ottocento, durante un pogrom antisemita, un intero villaggio è stato distrutto, la sinagoga in fiamme, gli ebrei massacrati. Una scena che Marc Chagall ha drammaticamente rappresentata nel quadro “La Crocifissione bianca” (1938).
Il protagonista del romanzo viene incarcerato, barbaramente torturato, e infine, gettato in una cella oscura, in un sotterraneo fra il fetore e i miasmi di ogni di ogni sorta, in compagnia di ratti di fogna, scarafaggi.
Scrive l’autore che in quella orrenda situazione così drammatica: “Ricordò alcuni passi della Scrittura, particolarmente i Salmi, che aveva letto in ebraico, su vecchie pergamene. In un certo senso aveva sentito l’odore, il profumo dei Salmi mentre li ascoltava e li cantava”.
Nel Salmo 141,2, la preghiera dei salmi è un profumo fragrante come incenso che sale al cospetto di Dio come il profumo dei sacrifici che dal tempio di Gerusalemme saliva soave e gradito a Dio.
“Come incenso salga a te la mia preghiera, le mie mani alzate come sacrificio della sera”.
Entrare nel Salterio è come entrare nel giardino degli aromi descritto nel Canto dei cantici, come sembra suggerirci il poeta Thomas Eliot, che suggestivamente definisce il libro dei Salmi il giardino dei simboli e delle immagini che emano profumi, che solo il paesaggio orientale è capace di offrire.
Il Salmo 23, che tutti noi conosciamo e cantiamo nella liturgia, “Il Signore è il mio pastore”, ci invita in un paesaggio incantevole fatto di prati verdeggianti degradanti verso oasi di acque tranquille: “Il Signore è il mio pastore,/non manco di nulla;/su pascoli verdeggianti mi fa riposare,/ad acque tranquille mi conduce./Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino ,/per amore del suo nome”.
Invitati alla sua mensa, il pastore ci offre gli onori riservati all’ospite versando sul nostro capo unguento profumato e il vino aromatizzato che gorgheggia nel calice ricolmo.
Ma non possiamo non fare un cenno al Salmo 133, salmo che i pellegrini cantavano quando, giunti a Gerusalemme nei tre pellegrinaggi annuali, come prescrive la Torà, contemplavano affascinati lo splendore del Tempio e si sentivano accomunati nella fraternità, formavano un cuore solo ed un’anima sola, e ad una sola voce cantavano il salmo della fraternità: “Come è dolce che i fratelli vivano insieme!/ E’ come un profumo d’unguento prezioso versato sul capo./ E’ come una fresca rugiada dell’Ermon che scende sui monti di Sion!”
Il profumo degli aromi che pervade il Salmo è per i Padri della Chiesa come quello dell’amore del Cantico dei cantici: “Inebrianti per fragranza sono i tuoi profumi, aroma olezzzante è il tuo profumo,/ per questo le fanciulle anelano a te!” (1, 3).
E’ facile, allora, la trasposizione di coralità ecclesiale e cristologica sulla base di 2Corinti 2, 15-16: “Noi siamo dinanzi a Dio il buon profumo di Cristo”.
E’ con queste immagini suggestive che vogliamo entrare nel giardino dei Salmi per aspirarne e gustarne il profumo. Facciamo risuonare l’eco di una stupenda antifona liturgica che suona più o meno così nella parafrasi che ne ho fatto:
“Trahe nos, Christe dulcis psalmorum cantor, post te curremus in odorem unguentorum tuorum”. Attiraci, o Cristo, dolce cantore dei Salmi, e noi correremo dietro a te sulla scia dei tuoi unguenti profumati”. E diventeremo profezia, come dice l’Apocalisse, delle “quattro creature viventi e dei ventiquattro vegliardi che, processionando verso il trono dell’Agnello, portano nelle loro mani ciascuno una cetra e delle coppe ricolme di profumi, che sono le preghiere dei santi, cantando un canto nuovo”.
Il canto dei Salmi qui sulla terra è profezia e indice puntato verso il canto nuovo ed eterno che, al suono della rinnovellata cetra davidica, canteremo nella Gerusalemme celeste seguendo l’Agnello dovunque va.
(Nazareno Pandozi, diacono)