LECTURA DANTIS 30 AGOSTO 2018 ORE 21: FARINATA DEGLI UBERTI, IL CANTO DELLA PASSIONE CIVILE

Se la Divina Commedia, è prima di tutto, parafrasando le parole di un grande maestro medievale, san Bonaventura da Bagnoregio, l’itinerario di Dante verso la visione di Dio, e, agostinianamente, il pellegrinaggio verso la città di Dio, tuttavia, è allo stesso tempo anche  l’itinerario verso tutto ciò che è autenticamente umano. “Poema sacro/al quale ha posto mano e cielo e terra”, così, lo stesso poeta definirà la sua opera.

Dante ebbe piena coscienza che la sua opera era stata ispirata da Dio, un’opera scritta a quattro mani: le mani di Dio e le mani dell’uomo, un’opera che si pone sul limitare del tempo e dell’eterno, sul discrimine fra cielo e terra, sul confine dove confluiscono l’umano e l’oltre umano.

La Divina Commedia, dunque, un frammento di terra nei regni del mistero. Nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel cuore di Dante, pellegrino dell’Assoluto.

Se la meta del pellegrinaggio è la visione di Dio e l’approdo nella civitas Dei, tuttavia il poeta deve recuperare tutto l’umano che è in lui, e anche in chi non ha più speranza e ha perso tutto, come le anime dell’Inferno, tuttavia egli riesce a percepire ancora quella scintilla divina e quella dignità umana, l’impronta del Creatore, che neppure il peccato e l’inferno riescono a cancellare. Anche lungo le siepi e le paludi del mondo oscuro, Dante, il poeta, riesce a cogliere un fiore che consola quel mondo senza speranza.

Farinata è un personaggio annunciato, ricercato, atteso, desiderato. Quando Dante incontra il fiorentino Ciacco, nel terzo cerchio dell’Inferno, il poeta gli chiede notizie di alcuni fiorentini “che fuor sì degni… e che a ben far puoser li ‘ngegni”,  tra questi nomina proprio Farinata. “Dimmi ove sono e fa ch’io li conosca;/ che gran disio mi stringe di savere/se ‘l ciel li addolcia o lo inferno li attosca”. Ora quel grande e degno cittadino fiorentino, che aveva reso onore alla sua città, gli si erge davanti agli occhi, grandioso, solenne, austero, fiero, solitario nella sua magnanimità, scultoreo, quasi un personaggio michelangiolesco, appena uscito da una massa marmorea, sbozzata dallo scalpello di un genio, dallo scalpello di un dio! Così il guelfo Dante presenta Farinata, l’avversario ghibellino. E’ bastata una semplice richiesta di Dante, fatta sotto voce  al suo maestro Virgilio, pronunciata nella nobile lingua fiorentina che fa emergere dalla sua tomba di fuoco, la pena dei negatori dell’immortalità dell’anima, il ghibellino Farinata, che prorompe in quel grido stentoreo: “O tosco!”.

Dante e Farinata degli Uberti, due uomini, due avversari politici, che anche nell’Inferno continuano a combattersi fieramente senza esclusione di colpi, ma che finiscono nel riconoscersi uniti nell’unico e autentico amore per la loro città,  l’amore per Firenze. E più ancora uniti nella comune e amara esperienza dell’esilio dalla città, che da madre, divenuta matrigna, divora i suoi figli migliori.

Crediamo di far cosa assai utile proporre questo canto, nella ormai tradizionale Lectura Dantis nella nostra Basilica-Santuario della Madonna del Colle di Lenola, perché l’arte, quando è grande arte, non rinuncia mai al suo alto magistero etico e civile. Appuntamento con l'XI edizione della Lectura a giovedì 30 agosto 2018 alle ore 21.00.